mercoledì 30 settembre 2009

Criminalità e affarismo, zavorra del Sud di Nicoletta Cottone


da il Sole 24 Ore online

Criminalità e affarismo sono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale: deprimono l'etica e la legalità collettiva, spingendo i cittadini a pensare che le scorciatorie illegali consentano di raggiungere qualsiasi fine, distorcono i mercati creando monopoli di fatto e bloccano l'iniziative di chi agisce nella legalità. Fondamentale, dunque, sottrarre ai mafiosi i patrimoni illegalmente accumulati, rinnovare la classe dirigente locale e sensibilizzare la popolazione al rispetto delle regole. Giunge a queste conclusioni il rapporto del Censis "Il condizionamento delle mafie sull'economia, la società e le istituzioni del Mezzogiorno", realizzato su incarico della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia. Fiumi di denaro sporco inquinano l'economia, insidiano la vita pubblica e infangano la reputazione italiana nel mondo. Sempre più aggressivi racket e usura.

Sicilia, Calabria, Puglia e Campania sono le regioni dove le mafie sono più presenti, ma dove il Pil pro capite è più lontano dal resto del Paese. Con il Pil del Sud a 42-44 punti percentuali di distanza dal Centro-Nord. Con il Sud che arranca, con una dotazione infrastrutturale insufficiente, una imprenditoria frammentata e spesso intimidita, classi dirigenti inadeguate e spesso colluse con le mafie. «In un simile contesto la criminalità organizzata – sottolinea Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia – ha avuto un gioco facile: ha invaso l'economia, è penetrata nelle amministrazioni pubbliche e ne ha influenzato le decisioni». Nell'assalto ai fondi pubblici, ha sottolineato Pisanu, «si è rafforzata quella borghesia mafiosa, quella zona grigia che all'occorrenza manovra anche il braccio militare, ma normalmente collega il braccio politico-affaristico col mondo dell'economia, trasformando gradualmente "l'organizzazione criminale" vera propria in un "sistema criminale" integrato nella società civile».

Ma da almeno quarant'anni le mafie hanno risalito lo Stivale, si sono insediate al Centro-Nord e hanno esteso le loro attività in Europa e nel mondo. Crescendo nel Sud Italia così tanto da costituire la principale causa del mancato sviluppo di gran parte del Sud. Più silenziose rispetto al passato, ma concentrate su affari e politica. Il divario Nord-Sud invece di attenuarsi, aumenta, la distanza economico-sociale si fa sempre più ampia. E senza Sud non riparte neppure il Nord.

I comuni del Sud in cui sono presenti sodalizi criminali sono un auarto, 406 su 1.608. In 396 Comuni sono presenti beni confiscati alle organizzazioni criminali, 25 sono stati sciolti negli ultimi 3 anni (8 nella provincia di Napoli, 4 in quella di Palermo, 3 sia a Reggio Calabria che a Vibo Valentia). Condizione preliminare per lo sviluppo è la sicurezza. «La repressione di ogni attività mafiosa è oggi il primo, indispensabile atto - ha concluso il presidente Pisanu - per risolvere la Questione meridionale e sanare quella che Aldo Moro chiamava "la storica ingiustizia"». Ma l'antimafia indiretta della repressione, come ha scritto anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, e coime ribadisce il presidente Pisanu, «non andrà molto lontano se non sarà accompagnata dall'antimafia indiretta delle buone regole di mercato, della concorrenza amministrativa e della trasparenza politica».
30 settembre 2009

giovedì 17 settembre 2009

Papà


Papà nenti ci fà...

Cuamo nenti ci fà!

Dal relativismo sociale a una nuova cultura del dovere.

sabato 5 settembre 2009

EPILOGO: chi comanda fa legge.

Dopo la controffensiva del "giornale" DI FELTRI E LE DIMISSIONI DI BOFFO.....



IL DIRETTORE AD INTERIM DI AVVENIRE, MARCO TARQUINIO

Il sostituto di Boffo all'attacco:
«Cattiva stampa e video-indecenze»

Nel primo editoriale mette sotto accusa le tv. «Adesso giudichino i cattolici»

Il direttore ad interim di Avvenire, Marco Tarquinio
Il direttore ad interim di Avvenire, Marco Tarquinio
«Avvenire» non ci sta, e in un editoriale firmato oggi da Marco Tarquinio
, che come direttore ad interim ha la responsabilità del quotidiano cattolico dopo le dimissioni del direttore Dino Boffo, rivendica i meriti del giornale premiato dai lettori («sono loro che giudicano della nostra pulizia e coerenza»), risponde alla «campagna diffamatoria» messa in atto dal Giornale di Feltri, si interroga «sulla sorte della libera stampa in Italia» e soprattutto mette pesantemente sotto accusa il ruolo delle televisioni nella vicenda che ha portato alla rinuncia di Boffo.

«C'è più di un problema nel mondo dell'informazione italiana», esordisce in prima pagina Tarquinio, che prosegue più avanti: «La libertà senza responsabilità non ha senso, e l'esercizio irresponsabile della libertà diventa inesorabilmente una maledizione per ogni comunità civile», per poi passare a stigmatizzare la «inconsistenza di quella maligna campagna diffamatoria costruita - nei titoli e negli articoli del Giornale diretto da Vittorio Feltri - su una lettera anonima travestita da documento del casellario giudiziario». Arrivando a parlare delle televisioni, Tarquinio scrive: «La magna pars dell'informazione televisiva pubblica e privata ha finito per amplificare le loro cannonate in faccia alla verità. Le falsità e le deformazioni sulla persona di Dino Boffo hanno avuto - per giorni - uno spazio tv irrimediabilmente insultante. Di Avvenire e della sua linea politica è stata fatta anche in tv una interessata caricatura. E questo perché Feltri & Co. sono stati fatti dilagare sul piccolo schermo con le loro tesi e (man mano che la verità veniva a galla) i loro aggiustamenti di tesi. E quando non sono stati loro - gli sbandieratori di una ignobile lettera anonima - a occupare lo schermo, le notizie di chiarimento venute dalla magistratura di Terni sono state ignorate o sminuzzate. Confuse - prosegue Tarquinio - in un polverone di chiacchiere in politichese. Tutt'al più di querimonie su una privacy violata, quando c'era una verità di vita fatta a pezzi. Un'autentica videoindecenza» .

L’editoriale si conclude con un invito a giudicare lanciato ai cattolici italiani. «Che giudichino loro in edicola e col telecomando questa libertà irresponsabile che, ancora una volta, nessun altro, neppure l'Ordine dei giornalisti, appare in grado di giudicare. Giudichino loro - finisce Tarquinio - la stampa della falsità e della cattiveria. Giudichino le videoindecenze».