mercoledì 16 dicembre 2009

LE FAMIGLIE DAVANTI ALLA CRISI E IL RUOLO DELLA CHIESA: IL LIBRO DEL CARDINALE TETTAMANZI IL "VALORE" DEI SOLDI


Famiglia Cristiana del 24/5/09

di Dionigi card. Tettamanzi

Il brano pubblicato in queste pagine è tratto dal libro del cardinale Dionigi Tettamanzi Non c'è futuro senza solidarietà. La crisi economica e l'aiuto della Chiesa (San Paolo, 143 pagine, 14 euro). In libreria in questi giorni.


Riconoscere che questo difficile momento di crisi è stato generato e alimentato dalla volontà di rapido arricchimento basato su speculazione e scommessa finanziaria è già un buon punto di partenza. Perché soltanto riconoscendo questo dato di fatto, riusciremo a pensare a strumenti che ci permettano di uscire da una crisi lacerante.

Come, dunque, trovare strumenti che sappiano generare il benessere e il bene-stare delle persone e delle famiglie? Strumenti non ancorati alla "scommessa facile", ma che siano in grado di fornire solidità al sistema economico e finanziario, che garantiscano crescita e affidabilità, allo stesso tempo?

Mi permetto di suggerire qualche pista di riflessione e qualche indicazione concreta. E di lasciare qualche domanda, alla quale gli economisti potranno rispondere.

Certamente servono nuove regole per la finanza, che limitino gli eccessi della cupidigia speculativa, della facile ricchezza. Occorre che le strutture finanziarie assumano come obiettivo una serie di valori, anche non direttamente economici, ma che nell’assieme influenzino la realtà in cui tali strutture operano e, pertanto, influiscano sulla possibilità di vita e di successo delle stesse strutture. Si pensi, oltre ai valori morali che costituiscono l’argomento che mi è proprio, anche a quelli culturali, ambientali, sociali, in una proiezione che si imperni sulla centralità dell’uomo. E questa attenzione non come mera affermazione di principio, ma in modo concreto.

Mi pare che i meccanismi che governano oggi la finanza escludano o limitino pesantemente la crescita delle piccole imprese, delle cooperative sociali, spesso ritenute dal sistema del credito come soggetti ad alto rischio, senza considerare però il "valore sociale" di cui tali imprese sono portatrici.


Il cardinale Tettamanzi nel carcere di San Vittore (foto Ansa)

Sarà possibile allora pensare a un sistema che sostenga il credito per tali iniziative e ne incoraggi la ripresa e l’estendersi del modello?

Per l’impresa finanziaria, ciò potrebbe specificarsi, ad esempio, nel servire – senza parzialità e con condizioni il più possibile vantaggiose nei costi, nei tempi, nelle modalità – tutti i soggetti con cui il mercato finanziario interagisce. Sarà possibile pensare a un sistema del credito e del risparmio in cui il cliente conosce a fondo come sono impiegati i suoi depositi, i suoi soldi, i suoi risparmi, i suoi investimenti?

I problemi dei "non bancabili"

Dico questo anche alla luce del fatto che, di recente, al rischio della crisi finanziaria sono stati esposti anche molti fondi pensione, risparmi ordinari di cittadini comuni, soldi della pubblica amministrazione. C’è un altro dato preoccupante: in Italia il 16 per cento della popolazione "non è bancabile", cioè per diversi motivi non ha i requisiti necessari per ricevere un prestito, godere di un mutuo. E ai "non bancabili" (che, non dimentichiamolo, sono persone, madri e padri di famiglia, responsabili del sostentamento di altre persone) che risposte possono essere date? Perché non strutturare un sistema di microcredito che consenta loro di poter riavviare la loro vita, di renderla solida sul piano economico, affinché si possa guardare con serenità al futuro? In questo senso l’esperienza messa in campo da alcuni soggetti e dalle Caritas mi pare significativa. Piccoli prestiti per partire o ripartire, anche con garanzie limitate.

Certo, è compito dei tecnici, degli economisti, delle persone impegnate nella finanza elaborare nuovi modelli. Ma ci sono due "virtù" che, se vissute e praticate da tanti, ci aiuteranno a uscire dalla crisi, a contenerne gli effetti, ad alleviare le sofferenze che sta causando: sono la sobrietà e la solidarietà.

Devo qui aggiungere che la mia analisi sull’etica, e in termini più vasti l’intera proposta del magistero della Chiesa nell’ambito economico e finanziario, potrà sembrare a molti un discorso condivisibile sì, ma soltanto a livello teorico, e dunque inapplicabile negli affari, senza possibilità di effetti concreti. Sono invece convinto che non è così. E a dirlo sono i fatti.

Leggendo le pagine economiche dei giornali ho notato che alcuni prodotti finanziari – in questo periodo di pesante e generalizzato crollo delle Borse – hanno retto meglio di altri. Mi ha incuriosito, in particolare, il termine "portafogli etici". E ho scoperto che si tratta, ad esempio, di Fondi comuni di investimento, di strumenti finanziari che negoziano titoli di aziende sensibili ai temi propriamente etici.

Quei comportamenti virtuosi

In questi "portafogli" sono ammessi solo i titoli che fanno riferimento a Governi e ad aziende virtuosi, attenti alle tematiche ambientali, al sociale. E trovo molto interessante che questa attenzione si riveli anche redditizia, oltre che doverosa. È un segno della bontà della proposta etica il fatto che addirittura sia più remunerativo curarsene anziché trascurarla. Mi chiedo: da dove viene questo guadagno? Dal fatto che i dirigenti delle aziende che operano secondo i princìpi etici riducono il rischio di scandali, di sanzioni per reati ambientali o spese legali per dirimere conflitti con i dipendenti, i fornitori o i collaboratori. E in tempo di crisi questi comportamenti, mentre permettono di contenere le perdite nell’immediato, possono tradursi nel medio termine addirittura in buoni profitti. Sono alcuni degli stessi operatori del settore finanziario a riconoscere che l’investimento "etico" avrà nel futuro sempre migliori opportunità di rendimento, aumentando così la sua quota di mercato.

Una via promettente e redditizia

Interessanti sono i criteri etici secondo cui questi operatori fanno la valutazione nel comporre i loro "portafogli" mirati: in un fondo etico non trovano spazio le società coinvolte in affari controversi, come la fabbricazione e la commercializzazione di tabacco, alcolici, armi, prodotti lesivi alla salute, materiale pornografico. Sono poi escluse anche le imprese che sfruttano il lavoro minorile, violano i diritti umani, seviziano gli animali, non rispettano l’ambiente con emissioni inquinanti, praticano il disboscamento selvaggio, traggono profitti con il gioco d’azzardo.

E la "via etica" è promettente e redditizia non solo per gli investimenti azionari nelle aziende private: alcune società finanziarie investono con questo stile anche nei titoli di Stato, attenti a evitare tutti quei Paesi dove – ad esempio – è ancora in vigore la pena di morte, sono in corso conflitti bellici, l’amministrazione pubblica è corrotta, non c’è sufficiente libertà di stampa, è alto il tasso di illegalità. È da rilevarsi ancora la particolare attenzione che viene prestata anche ai parametri di verifica del grado di tutela e di rispetto del patrimonio ambientale: le emissioni inquinanti, la produzione di energia da fonti rinnovabili, la gestione dei rifiuti.

Certo, rispetto alla totalità dei titoli finanziari trattati ogni giorno nel mondo, questi criteri etici sono applicati in una percentuale fortemente minoritaria.

Ma il binomio dell’investimento "sostenibile" e "responsabile" può veramente rappresentare un volano per il rilancio dell’economia, per il ritorno al guadagno da parte degli investitori e per poter contare su un’economia fondata su basi più solide, in grado di portare benefici duraturi a tutti.

Sono convinto che l’uscire dall’attuale crisi è questione non solo di nuove regole per l’economia in vista di modelli e sistemi realmente rinnovati, ma anche e innanzitutto di "stili di vita": di una vita plasmata dalla sobrietà e dalla solidarietà. Non nel senso che sobrietà e solidarietà debbano essere pensate come semplici "rimedi", magari efficaci ma transitori, in attesa di potervi prossimamente rinunciare! Esse, viceversa, sono le colonne portanti per una vita che già qui, nel tempo e su questa nostra terra, può trovare il proprio equilibrio e la propria felicità, in armonica relazione con sé, con gli altri, con il mondo, con il suo Creatore! Sono proposte in ordine a una vita, personale, familiare e sociale, qualitativamente migliore, non in qualche modo "attenuata" o sminuita!

Con "stili di vita" ispirati a sobrietà e solidarietà in vista di un’economia più giusta ed equa intendo, in breve, una serie di atteggiamenti profondi, da acquisire specialmente mediante i processi educativi, in grado di originare "modelli di vita" rinnovati, con le loro inevitabili ricadute sui "sistemi di vita", quelli che poi strutturano l’intera vita economico-sociale. Stili e scelte di vita che, per un cristiano, rappresentano forme di autentica carità e altrettante occasioni di testimonianza evangelica.

Il rispetto della legge

Coniugare sobrietà e solidarietà significa anzitutto un rinnovato rispetto della legalità. Occorre una mentalità, una cultura che veda nella legge, cioè in questa prima e insostituibile "misura" delle azioni comuni, non un ostacolo o un limite da oltrepassare a proprio piacimento, ma la guida per un agire sociale ordinato al bene di tutti. Non si tratta di educare a un’osservanza soltanto esteriore, formale della norma giuridica, ma a una responsabilità che faccia comprendere che il primo modo per dare il proprio contributo al bene comune, per dare rilievo all’altro considerato nell’ambito dell’intera società, è proprio osservare le leggi che, fino a che non entrino in contrasto con l’ordine morale, vanno osservate. Anche quelle in materia economica e fiscale. Senza un’appropriata cultura della legalità, infatti, nessun sistema economico né società democratica possono sussistere.

Questi "stili di vita" improntati a sobrietà e solidarietà riguardano realtà che vanno dalla famiglia al lavoro, dalla salvaguardia del creato alle scelte improntate a minor spreco di risorse, dalla ricerca di modalità di consumo e di sviluppo compatibili con l’attuale situazione economica e sociale a una rinnovata proposta educativa che susciti vera attenzione alla società e ai suoi obiettivi autentici. Una società che si muove a grandi passi verso una globalizzazione che, osiamo sperarlo, si orienti sempre più verso un mondo più solidale. Già, fra le tante modalità fin qui assunte dalla globalizzazione, perché non deciderci a globalizzare con più convinzione e costanza la sobrietà e la solidarietà?


Dionigi card. Tettamanzi

sabato 28 novembre 2009

Mi ha colpito...

http://www.youtube.com/watch?v=pvEbyhfuKkU

La ricetta di Draghi per il Sud  Politiche regionali inefficaci - Il Sole 24 ORE



La ricetta di Draghi per il Sud Politiche regionali inefficaci - Il Sole 24 ORE: "26 novembre 2009
La ricetta di Draghi per il Sud
Politiche regionali inefficaci
di Alberto Annicchiarico

Allarme di Bankitalia sul Mezzogiorno, che presenta «scarti allarmanti» rispetto al centro-nord nei servizi essenziali quali istruzione, giustizia civile, assistenza sociale, trasporti e Sanità.

Soprattutto «grava su ampie parti del nostro Sud - ha detto il governatore Mario Draghi nell'intervento di apertura del convegno 'Il mezzogiorno e la politica economica dell'Italia' - il peso della criminalità organizzata. Essa infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia fra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile».

Pil e occupazione in caduta più che al nord
Quanto alla produzione di ricchezza «nel 2008 la contrazione del pil meridionale è stata più severa di quella del centro nord: -1,4 per cento contro -0,9 per cento. Nel secondo trimestre del 2009 l'occupazione è calata nel mezzogiorno del 4,1% rispetto all'anno precedente, mentre el centro nord è scesa dello 0,6 per cento. Il divario riflette anche la minore tutela offerta in concreto dalla cassa integrazione guadagni al sud a causa della differente struttura produttiva. Il mezzogiorno sconta la debolezza della sua economia».

Processo di cambiamento troppo lento
«Le analisi che presentiamo oggi - ha precisato Draghi - rivelano scarti allarmanti di qualità tra centro nord e mezzogiorno nell'istruzione, nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nell'assistenza sociale, nel trasporto locale, nella gestione dei rifiuti, nella distribuzione idrica».
Il numero uno di palazzo Koch ha sottolineato che «il processo di cambiamento è troppo lento. Mentre le altre regioni europee in ritardo di sviluppo tendono a convergere verso la media dell'area, il mezzogiorno non recupera terreno».

Sud territorio arretrato più esteso e popoloso d'ell'area euro
E non è che per il Sud il problema nasca oggi. «Da lungo tempo - ha osservato ancora il governatore - i risultati economici del Mezzogiorno d'Italia sono deludenti. Il divario del Pil pro capite rispetto al centro nord è rimasto sostanzialmente immutato per trent'anni: nel 2008 era pari a circa quaranta punti percentuali. Il sud, in cui vive un terzo degli italiani, produce un quarto del prodotto nazionale lordo; rimane il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell'area euro».

Sussidi inefficaci, penalizzano gli imprenditori più bravi
I sussidi alle imprese «sono stati generalmente inefficaci: si incentivano spesso investimenti che sarebbero stati effettuati comunque; si introducono distorsioni di varia natura penalizzando frequentemente imprenditori più capaci». Lo afferma Draghi riportando i dati che emergono dalla ricerca sul Mezzogiorno condotta da via Nazionale. «Non è pertanto dai sussidi - aggiunge Draghi - che può venire uno sviluppo durevole delle attività produttive».

Investire in applicazione, migliorare la qualità dei servizi
Draghi non si è limitato alla diagnosi, ma ha anche espresso una sua ricetta. «Occorre investire in applicazione delle politiche generali, piuttosto che in sussidi. Tradurre questa impostazione in atti concreti di governo non è facile. Si deve puntare a migliorare la qualità dei servizi forniti da ciascuna scuola, da ciascun ospedale e tribunale, da ciascun ente amministrativo o di produzione di servizi di trasporto o di gestione di rifiuti».

La exit strategy non passa per le politiche regionali
In questo senso le politiche regionali, e non si può non pensare al Piano per il Sud che in estate aveva previsto 4 miliardi per la Sicilia, non sono «la via maestra» per risolvere il problema del divario tra nord e sud. Ecco perché secondo Draghi occorre quindi concentrarsi sulle politiche generali con obiettivi per tutto il Paese, maggiormente in grado di contrastare l'inquinamento mafioso delle amministrazioni. «Le politiche regionali - ha spiegato il governatore - quelle esplicitamente finalizzate a promuovere lo sviluppo delle aree in ritardo con interventi specifici, nell'ultimo decennio si sono volte anche all'obiettivo di innalzare il capitale sociale, ma hanno ottenuto risultati scarsi. Ne hanno indebolito l'azione i localismi, la frammentazione degli interventi, la difficoltà di individuare le priorità, la sovrapposizione delle competenze dei vari enti pubblici».

Nel Sud banche come nel resto d'Italia
Infine, capitolo credito. «Nascono nel sud tante nuove banche quante ne nascono nel resto d'Italia, tenuto conto dei pesi economici relativi». Draghi ha aggiunto che «i dati mostrano come non ci siano marcate divergenze nell'andamento del credito bancario tra il entro-nord e il Mezzogiorno». Il governatore, tuttavia, non ha mai citato esplicitamente la Banca del Sud voluta dal ministro Tremonti. Segno che il patto di non aggressione siglato in occasione della recnte Giornata del risparmio è ancora in vigore.
26 novembre 2009"

martedì 10 novembre 2009

I vescovi discutono il nuovo documento sul mezzogiorno La Cei: «I mafiosi sono fuori dalla Chiesa»


ASSISI - I mafiosi e coloro che fanno parte della criminalità organizzata sono automaticamente esclusi dalla Chiesa cattolica, non c'è bisogno di scomuniche esplicite. Lo ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, in una conferenza stampa ad Assisi, rispondendo ad una domanda sul documento Chiesa e Mezzogiorno, anche in relazione alle recenti inchieste che hanno coinvolto uomini politici.

IL DOCUMENTO - I presuli, riuniti nella loro sessantesima assemblea generale nella città di San Francesco, sono chiamati ad approvare il nuovo documento su Chiesa e Mezzogiorno. «È evidente - ha spiegato monsignor Crociata - che il tema della criminalità organizzata è ben presente nel documento; una realtà drammatica ma non disperata e non invincibile». Per quanto riguarda i mafiosi o gli affiliati alle organizzazioni criminali, il segretario della Cei ripete quanto già disse Giovanni Paolo II in una visita ad Agrigento nel 1993 sul giudizio di Dio che si sarebbe abbattuto sui criminali. «Non c'è bisogno - ha aggiunto monsignor Crociata - di comminare esplicite scomuniche perchè chi vive nelle organizzazioni criminali è fuori dalla comunione anche se si ammanta di religiosità.» «Piuttosto - ha aggiunto - non si risolve questo dramma sociale che si estende a tutta l'Italia, e non solo al Sud, solo richiamando l'esclusione dalla Chiesa, ma si risolve con un impegno di tutti, della istituzioni, della magistratura».

lunedì 2 novembre 2009

Musica e P2P: gli utenti peggiori sono i migliori

Chi scarica compra. Lungi dal poter essere confermata come teoria basata su di una logica causa/effetto, sembra essere questo un dato di fatto confermato per l'ennesima volta. Il tutto, però, giunge alle cronache in un momento estremamente delicato: il sondaggio che conferma il legame tra vendite e file sharing, infatti, è stato condotto nel Regno Unito, lo stesso paese che ha promesso una Digital Economy Bill del tutto vicina all'Hadopi francese. Il paese che intende disconnettere gli utenti che condividono musica in modo illegale, in pratica, si trova a confermare con un sondaggio il legame esistente tra l'utenza stessa e la community degli acquirenti.

Il sondaggio è stato condotto su un panel di 1000 utenti tra i 16 ed i 50 anni. L'agenzia Ipsos Mori, da cui giungono i dati, comunica che un utente su 10 ammette di aver già scaricato musica in modo illegale; all'interno di questo 10%, però, si conferma una propensione all'acquisto molto più alta rispetto al restante 90% degli utenti. Chi ha già fatto uso di file sharing, infatti, spende ad oggi in media 77 sterline annue in prodotti musicali; chi non ha mai scaricato, invece, ammette un budget approssimativo di 33 sterline. Nelle 44 sterline di differenza c'è tutta la tensione che un sondaggio simile porta nel dibattito contro il P2P nei paesi in cui gli interventi legislativi stanno per portare misure estremamente restrittive nei confronti degli utenti.

Pensare che il file sharing possa essere univocamente una forma promozionale agli acquisti sarebbe una interpretazione forzosa, sicuramente fuorviante. Ignorare il legame confermato dai numeri, però, sarebbe un atteggiamento doloso. Per questo la Demos (la quale ha commissionato l'indagine Ipsos) ed i commenti Forrester Research sottolineano soprattutto il fatto che l'utenza odierna sia composta da molti "nativi digitali", i quali non hanno una cultura di musica a pagamento e si attendono prodotti con prezzi più consoni e modelli distributivi alla loro forma mentis. La richiesta, insomma, nasce dai numeri ed è rivolta al mercato della distribuzione: la soluzione ai problemi non è nello scontro, ma nell'incontro.

I numeri dell'indagne Ipsos Mori non fanno altro che confermare una teoria confermata più e più volte da ricerche medesime compiute in passato. Il percorso in questi anni è però stato sempre lo stesso: l'industria preme e il legislatore usa le armi a propria disposizione per reprimere. Nuove forme di distribuzione e nuovi attori di mercato, però, stanno per proporre innovative formule basate su streaming, advertising, offerte all-inclusive. Scontro e incontro, per questo motivo, potrebbero presto diventare facce della stessa medaglia: mentre l'industria evolve, il legislatore frena.

Tra le righe è facile evincere come ogni valutazione futura debba partire dai numeri e dalle certezze disponibili: i clienti migliori (perché acquistano di più) sono anche i clienti peggiori (perché scaricano di più). Parlare nel modo corretto a questo tipo di community potrebbe essere importate. Disconnetterli dal Web, invece, potrebbe avere effetti collaterali.

martedì 20 ottobre 2009

Disabile difende una cassiera e viene percosso: è grave


CHE CIVILTA'...


DA CORRIERE.IT

RAGUSA - Un disabile intervenuto in difesa di una cassiera insultata da un cliente in un supermercato di Ragusa è stato brutalmente picchiato ed è ora ricoverato nell'ospedale «Paternò Arezzo» in gravi condizioni.

ARRESTATO L'AGGRESSORE, PREGIUDICATO - Il pestaggio è stato interrotto dall'intervento dei carabinieri, che hanno arrestato l'aggressore, Pietro Baglieri, 33 anni, pregiudicato nato in Germania e da tempo residente a Ragusa. L'uomo si era rifiutato di pagare all'uscita del supermarket «Alis» in via Caronia, e aveva reagito con pesanti offese all'insistenza della cassiera perché saldasse il conto. In difesa della donna è intervenuto un disabile di 58 anni, che era in coda alle casse, e Baglieri ha cominciato a colpirlo con calci e pugni finché non sono arrivati i carabinieri, avvertiti dal personale del supermercato. Bagliere deve ora rispondere di lesioni aggravate.


20 ottobre 2009

venerdì 16 ottobre 2009

Il quarto potere COMANDA.


Preludio di dittatura o no?

La stampa del 17/10/09
MICHELE BRAMBILLA
E’ consigliata a tutti, specie alle persone facilmente impressionabili, la visione del filmato che Canale 5 ha dedicato l’altro ieri al giudice Raimondo Mesiano. Basta andare su Internet: innumerevoli siti lo ripropongono. Davvero bisogna vederlo.

Per due motivi. Il primo è che, se non lo si vede, non ci si crede. Il secondo è per rendersi conto di quale livello abbia ormai raggiunto il giornalismo con l’elmetto.

Raimondo Mesiano è il giudice che ha condannato la Fininvest a risarcire il gruppo De Benedetti con 750 milioni di euro. Canale 5 l’ha fatto seguire di nascosto dalle sue telecamere. Come fanno per «Scherzi a parte» o, per citare un precedente di livello superiore, come faceva lo «Specchio segreto» di Nanni Loy. La differenza è che in quelle trasmissioni alla fine la vittima dello scherzo viene avvicinato da un funzionario che dice: non se la prenda, se ci dà il permesso di mandare in onda per favore firmi qui. Invece le immagini trasmesse l’altro ieri a Mattino 5 erano rubate all’inizio delle riprese e rubate sono rimaste fino alla fine. Il giudice Mesiano ne è venuto a conoscenza, in compagnia di qualche milione di italiani, solo al momento della messa in onda.

L’altra differenza è che le gag di Nanni Loy facevano ridere, questa no. Il giudice viene ripreso, anche se sarebbe più corretto dire spiato, mentre è nell’esercizio di sue privatissime funzioni: uscire di casa, passeggiare, fumare una sigaretta, entrare dal barbiere, farsi radere, uscire, sedersi su una panchina, fumarsi un’altra sigaretta. Nulla di più banale, ordinario e scontato: eppure per Mattino 5 quelle immagini sarebbero la prova di «comportamenti stravaganti», come più volte sottolinea l’autrice del memorabile scoop. Non sapendo a cosa attaccarsi per giustificare quell’accusa di stravaganza, la giornalista sottolinea il «passeggiare avanti e indietro fumando una sigaretta» nell’attesa di entrare dal barbiere e - orrore - i calzini turchesi nei mocassini bianchi. Stravagante, e quindi un mezzo squilibrato, questo giudice che ha condannato la Fininvest.

Canale 5 è del gruppo Fininvest e ha tutto il diritto di criticare una sentenza che la colpisce. Può anche dire che in Italia ci sono le toghe rosse. E potrebbe perfino insinuare il sospetto che il giudice sia un mezzo squilibrato, se scoprisse che parla con i muri o si lancia da un quinto piano convinto di volare. Ma il filmato dell’altro ieri a Mattino 5 lascia sbalorditi, nonostante si sia abituati ormai da anni a una guerra mediatica fatta di colpi sempre più bassi.

Sbalorditi per la pretestuosità delle argomentazioni. Il filmato non mostra alcunché di bizzarro, davvero bisogna arrampicarsi sui vetri per vedere, nella passeggiata del giudice Mesiano, «comportamenti stravaganti». E sbalorditi per la meschineria dell’equazione «calzini turchesi uguale giudice inaffidabile»: equazione che mette i suoi autori allo stesso livello di chi ieri sfotteva Andreotti per la gobba e oggi sfotte Brunetta per la bassa statura. Siamo al livello della fisiognomica utilizzata dalla «Difesa della razza» di Telesio Interlandi.

Ma la cosa peggiore - quella che mette i brividi - è il pedinamento, lo spionaggio, la violazione della privacy, quindi la messa alla pubblica gogna, il sottinteso avvertimento «guarda che ti controlliamo». Ne avevamo già viste tante, da una parte e dall’altra. Ma che un giudice autore di una sentenza sgradita (e magari sbagliata: non è questo il punto) potesse essere seguito e filmato di nascosto, è una cosa che avevamo visto solo al cinema. Ad esempio ne «Le vite degli altri» di Florian Henckel von Donnersmarck, un capolavoro. Ambientato a Berlino Est. Roba da comunisti.

mercoledì 30 settembre 2009

Criminalità e affarismo, zavorra del Sud di Nicoletta Cottone


da il Sole 24 Ore online

Criminalità e affarismo sono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale: deprimono l'etica e la legalità collettiva, spingendo i cittadini a pensare che le scorciatorie illegali consentano di raggiungere qualsiasi fine, distorcono i mercati creando monopoli di fatto e bloccano l'iniziative di chi agisce nella legalità. Fondamentale, dunque, sottrarre ai mafiosi i patrimoni illegalmente accumulati, rinnovare la classe dirigente locale e sensibilizzare la popolazione al rispetto delle regole. Giunge a queste conclusioni il rapporto del Censis "Il condizionamento delle mafie sull'economia, la società e le istituzioni del Mezzogiorno", realizzato su incarico della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia. Fiumi di denaro sporco inquinano l'economia, insidiano la vita pubblica e infangano la reputazione italiana nel mondo. Sempre più aggressivi racket e usura.

Sicilia, Calabria, Puglia e Campania sono le regioni dove le mafie sono più presenti, ma dove il Pil pro capite è più lontano dal resto del Paese. Con il Pil del Sud a 42-44 punti percentuali di distanza dal Centro-Nord. Con il Sud che arranca, con una dotazione infrastrutturale insufficiente, una imprenditoria frammentata e spesso intimidita, classi dirigenti inadeguate e spesso colluse con le mafie. «In un simile contesto la criminalità organizzata – sottolinea Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia – ha avuto un gioco facile: ha invaso l'economia, è penetrata nelle amministrazioni pubbliche e ne ha influenzato le decisioni». Nell'assalto ai fondi pubblici, ha sottolineato Pisanu, «si è rafforzata quella borghesia mafiosa, quella zona grigia che all'occorrenza manovra anche il braccio militare, ma normalmente collega il braccio politico-affaristico col mondo dell'economia, trasformando gradualmente "l'organizzazione criminale" vera propria in un "sistema criminale" integrato nella società civile».

Ma da almeno quarant'anni le mafie hanno risalito lo Stivale, si sono insediate al Centro-Nord e hanno esteso le loro attività in Europa e nel mondo. Crescendo nel Sud Italia così tanto da costituire la principale causa del mancato sviluppo di gran parte del Sud. Più silenziose rispetto al passato, ma concentrate su affari e politica. Il divario Nord-Sud invece di attenuarsi, aumenta, la distanza economico-sociale si fa sempre più ampia. E senza Sud non riparte neppure il Nord.

I comuni del Sud in cui sono presenti sodalizi criminali sono un auarto, 406 su 1.608. In 396 Comuni sono presenti beni confiscati alle organizzazioni criminali, 25 sono stati sciolti negli ultimi 3 anni (8 nella provincia di Napoli, 4 in quella di Palermo, 3 sia a Reggio Calabria che a Vibo Valentia). Condizione preliminare per lo sviluppo è la sicurezza. «La repressione di ogni attività mafiosa è oggi il primo, indispensabile atto - ha concluso il presidente Pisanu - per risolvere la Questione meridionale e sanare quella che Aldo Moro chiamava "la storica ingiustizia"». Ma l'antimafia indiretta della repressione, come ha scritto anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, e coime ribadisce il presidente Pisanu, «non andrà molto lontano se non sarà accompagnata dall'antimafia indiretta delle buone regole di mercato, della concorrenza amministrativa e della trasparenza politica».
30 settembre 2009

giovedì 17 settembre 2009

Papà


Papà nenti ci fà...

Cuamo nenti ci fà!

Dal relativismo sociale a una nuova cultura del dovere.

sabato 5 settembre 2009

EPILOGO: chi comanda fa legge.

Dopo la controffensiva del "giornale" DI FELTRI E LE DIMISSIONI DI BOFFO.....



IL DIRETTORE AD INTERIM DI AVVENIRE, MARCO TARQUINIO

Il sostituto di Boffo all'attacco:
«Cattiva stampa e video-indecenze»

Nel primo editoriale mette sotto accusa le tv. «Adesso giudichino i cattolici»

Il direttore ad interim di Avvenire, Marco Tarquinio
Il direttore ad interim di Avvenire, Marco Tarquinio
«Avvenire» non ci sta, e in un editoriale firmato oggi da Marco Tarquinio
, che come direttore ad interim ha la responsabilità del quotidiano cattolico dopo le dimissioni del direttore Dino Boffo, rivendica i meriti del giornale premiato dai lettori («sono loro che giudicano della nostra pulizia e coerenza»), risponde alla «campagna diffamatoria» messa in atto dal Giornale di Feltri, si interroga «sulla sorte della libera stampa in Italia» e soprattutto mette pesantemente sotto accusa il ruolo delle televisioni nella vicenda che ha portato alla rinuncia di Boffo.

«C'è più di un problema nel mondo dell'informazione italiana», esordisce in prima pagina Tarquinio, che prosegue più avanti: «La libertà senza responsabilità non ha senso, e l'esercizio irresponsabile della libertà diventa inesorabilmente una maledizione per ogni comunità civile», per poi passare a stigmatizzare la «inconsistenza di quella maligna campagna diffamatoria costruita - nei titoli e negli articoli del Giornale diretto da Vittorio Feltri - su una lettera anonima travestita da documento del casellario giudiziario». Arrivando a parlare delle televisioni, Tarquinio scrive: «La magna pars dell'informazione televisiva pubblica e privata ha finito per amplificare le loro cannonate in faccia alla verità. Le falsità e le deformazioni sulla persona di Dino Boffo hanno avuto - per giorni - uno spazio tv irrimediabilmente insultante. Di Avvenire e della sua linea politica è stata fatta anche in tv una interessata caricatura. E questo perché Feltri & Co. sono stati fatti dilagare sul piccolo schermo con le loro tesi e (man mano che la verità veniva a galla) i loro aggiustamenti di tesi. E quando non sono stati loro - gli sbandieratori di una ignobile lettera anonima - a occupare lo schermo, le notizie di chiarimento venute dalla magistratura di Terni sono state ignorate o sminuzzate. Confuse - prosegue Tarquinio - in un polverone di chiacchiere in politichese. Tutt'al più di querimonie su una privacy violata, quando c'era una verità di vita fatta a pezzi. Un'autentica videoindecenza» .

L’editoriale si conclude con un invito a giudicare lanciato ai cattolici italiani. «Che giudichino loro in edicola e col telecomando questa libertà irresponsabile che, ancora una volta, nessun altro, neppure l'Ordine dei giornalisti, appare in grado di giudicare. Giudichino loro - finisce Tarquinio - la stampa della falsità e della cattiveria. Giudichino le videoindecenze».

mercoledì 12 agosto 2009

Il Sud sbaglia a gridare al complotto

http://www.corriere.it/politica/09_agosto_12/gian_antonio_stella_scuola_il_sud_sbaglia_7f10825a-8704-11de-a53e-00144f02aabc.shtml

L’assessore all'Istruzione campano, Corrado Gabriele, ha capito perché la scuola meridionale esce a pezzi dalle statistiche: «E’ ’n'aggressione mediatica». Come a dire: piove, Nord ladro! Lancia dunque un appello a Vasco Errani, presidente della Conferenza Stato-Regioni, perché «chieda formalmente all'Invalsi di verificare con serietà i dati prima di lanciare notizie pericolose e fuorvianti». Insomma, basta coi numeri fastidiosi. L’irritazione della classe dirigente del Sud è scontata. Nelle ultime settimane sono grandinate sulla «sua» scuola accuse di ogni tipo. Prima la delibera del consiglio provinciale di Vicenza contro la gestione dei concorsi per presidi.


Una gestione così «generosa» nel Mezzogiorno che, avendo riconosciuto uno sproposito di «idonei» (a dispetto dei tetti fissati dalla legge), ha già fatto distribuire all’ultima tornata 108 posti su 118 a «prof meridionali »... Poi la sparata di una deputata leghista per imporre un esame di dialetto ai docenti da assumere al Nord. Poi l’idea di chiedere l’obbligo di residenza... Poi le polemiche sul boom di diplomati col massimo dei voti, esageratamente alto in Sicilia o in Campania rispetto al Veneto o alla Lombardia... Fino ai dati dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione che, esaminati i test di 1.304 scuole medie su un totale di 6.000 (un campione amplissimo), ha accertato che nel Sud (meglio: non solo nel Sud ma soprattutto nel Sud) troppi test erano stati falsati per far fare bella figura, diciamo così, agli studenti e quindi ai professori.


Un vizietto antico. In un Paese dove da decenni è stata demolita la politica del merito rimpiazzata dalla cooptazione, dalla spintarella, dalla raccomandazione (che Mastella definì «un peccato veniale servito per molto tempo a riequilibrare le ingiustizie Nord-Sud») è ormai entrato sottopelle a troppi italiani lo slogan che in tutt’altro contesto cantava Caterina Caselli: «Nessuno mi può giudicare». Ed ecco i 2.295 compiti copiati su 2.301 all’esame di Stato per avvocati a Catanzaro. Ecco le decine di concorsi taroccati all’Università, che hanno portato a casi abnormi come quello di un giovane siciliano che lo stesso giorno ha ricevuto una lettera di assunzione della Columbia di New York e una dell’ateneo di Palermo che gli comunicava che non possedeva i titoli per insegnare lì. Ecco le decine di denunce, nel novembre scorso, per il concorso (finito sotto inchiesta: troppi copioni) che avrebbe dovuto benedire la promozione dei nuovi magistrati. Chiamati poi a vigilare contro i concorsi-truffa altrui. Anche dopo lo scandalo dell’esamificio calabrese ci fu chi gridò al complotto: «La ferocia demolitrice con cui la stampa, la radio e la televisione hanno aggredito tutta la città di Catanzaro...».


Si è poi visto com’è finita. È bastato cambiare le regole, facendo esaminare i compiti ai commissari di un’altra regione, incrociandole a sorteggio, per stravolgere una tradizione che un anno aveva visto a Milano il 94% dei bocciati e a Catanzaro il 94% di promossi. Non ha senso, davanti a certi numeri, gridare ai complotti. Dice l’ultimo rapporto Ocse del P.i.s.a. che i quindicenni siciliani al livello più basso sono il doppio della media Ocse e il quadruplo che in Azerbaigian. Eppure, prima della stretta attuale, i bocciati alla maturità nell’isola erano l’1,3%. Con un record nel 2006 a Enna e Messina di 9 respinti ogni mille studenti. Dov’è il complotto? E dov’è il complotto se neppure una delle università meridionali è tra le prime trecento del mondo? Meglio sarebbe se la classe dirigente del Mezzogiorno, oltre a reagire strepitando (giustamente, talora) davanti alle più avventurose provocazioni leghiste, si facesse carico d’un problema: la scuola al Sud è in condizioni difficili. Spesso penose.


Lo è per ragioni storiche, perché il contesto di certe aree è complicatissimo, perché troppi genitori non collaborano, perché il ruolo degli insegnanti è stato via via sgretolato, perché troppi docenti, anche potenzialmente bravissimi, hanno il morale sotto i tacchi... Per mille motivi: ma è così. E non serve accompagnare un ragazzo fino alla maturità pretendendo il minimo del minimo e rinviando il problema a «dopo», quando andrà a schiantarsi con le barriere di una società competitiva, dura, feroce. Questo, per quel che si capisce, è successo nei test dell’Invalsi. Troppi professori hanno dato ai loro studenti «un aiutino». Per una specie di solidarietà tra «vittime di un sistema che non funziona». Perché hanno ormai rinunciato al merito in una società che non premia chi lo merita. Perché, dopo mesi di dibattiti sul «come» giudicare la produttività di un insegnante e come pagarlo conseguentemente per quanto vale o non vale, erano spaventati dall’idea che i risultati mediocri dei loro allievi sarebbero stati rovesciati addosso a loro: «Oddio, e poi il mio stipendio? La mia cattedra? Il mio lavoro?».


Certo è che per l’ennesima volta si è saldato un rapporto perverso: nessuno giudica nessuno per non essere giudicato. Il che, a differenza di quanto sostiene Mariastella Gelmini, non c’entra col ’68. O meglio, c’entra «anche» con il sei politico e il ’68 e quelle cose là. Ma c’entra soprattutto con una filosofia egualitarista che affonda le sue radici, trasversali a destra e sinistra, nel clientelismo, nel familismo amorale, nel patto insano tra lo Stato e una parte del sistema pubblico: io ti pago poco, tu mi dai poco. Col risultato che anche la scuola non ha come obiettivo il «cliente», cioè la crescita dello studente. Ma la gestione il più possibile tranquilla, «pacificata», di un milione di posti di lavoro. Sia chiaro, però: il problema segnalato dai test dell’Invalsi, come ha cercato di spiegare il presidente Piero Cipollone, non vale solo per il Sud ma per tutto il Paese.


Da Capo Passero a Sondrio. E la prova è sotto gli occhi di tutti: la riluttanza a giudicare gli studenti è figlia della riluttanza a essere giudicati. Vale per i docenti, per i quali da anni non esiste più alcuna forma di valutazione. Vale per i dirigenti. Fino a qualche tempo fa c’era una specie di «autovalutazione» sperimentale in cui uno si auto-votava (ottimo, buono, discreto...) determinando così la propria carriera e il proprio stipendio. Una cosa ridicola. Ma non c’è più manco quella.


Gian Antonio Stella

12 agosto 2009

Marcel Proust


«La vera scoperta non sta nel vedere nuovi mondi, ma nel vedere con nuovi occhi».

domenica 21 giugno 2009

Stiamo meglio di quando si stava meglio!


Gran parte del progresso nella qualità della vita è il risultato dell'opera di individui impegnati a fare ciascuno il prprio dovere con abilitàe coscienza.
Laurence J. Peter

venerdì 19 giugno 2009

Feste e ragazze, Avvenire a Berlusconi "Serve presto un chiarimento"

Il giornale dei vescovi chiede al premier di dare risposte all'opinione pubblica
"C'è un clima di smarrimento". Attacco a Ghedini: "Moltiplica i motivi di imbarazzo"

Feste e ragazze, Avvenire a Berlusconi "Serve presto un chiarimento"
ROMA - "Deve rispondere all'opinione pubblica". Il giornale dei vescovi chiede a Berlusconi parole chiare sulle vicende delle feste con ragazze a pagamento a Palazzo Grazioli. Lo fa con un editoriale firmato da Gianfranco Marcelli, in cui si parla senza mezzi termini di "un clima di smarrimento".

"E' lecito domandarsi - si legge nell'articolo - se il presidente del Consiglio abbia finora scelto la linea di resistenza migliore e i difensori più appropriati al suo caso. Non è solo questione di stile sfoggiato (anche se lo stile in certe situazionii è purissima sostanza) da parte di avvocati bravi, a quanto pare, soprattutto a moltiplicare i motivi di imbarazzo. Il punto centrale è la necessità di arrivare il più presto possibile a un chiarimento sufficiente a sgomberare il terreno dagli interrogativi più pressanti".

Berlusconi deve rispondere a interrogativi, prosegue l'editoriale, "che non vengono solo dagli avversari politici, ma anche da una parte di opinione pubblica non pregiudizialmente avversa al premier. E se anche non fosse possibile eliminare ogni ombra", perché alcune questioni sono in mano alla magistratura, "si pongano almeno i presupposti per evitare ulteriori stillicidi di chiacchiere e di tempeste mediatiche. Senza illudersi che l'efficenza dell'azione di governo possa far premio, sempre e comunque, sui comportamenti privati. Alla lunga tutto finisce per avere un prezzo. E il pericolo è che a pagarlo non sia solo il singolo debitore di turno, ma l'intero paese".

(19 giugno 2009) Tutti gli articoli di politica

lunedì 1 giugno 2009

Very nice, per un corn... un corn.. e mezzo

Il Times attacca Berlusconi La replica: falsità insufflate da sinistra - Corriere della Sera:

"Silvio Berlusconi ha liquidato l'articolo del Times in poche parole durante l'intervista a 28 Minuti di Barbara Palombelli su Radio 2: «I giornali stranieri sono in collegamento diretto con quelli della sinistra italiana: sono cose ispirate e insufflate dalla sinistra italiana che spinge per ottenere attenzione alle nostre vicende viste dalla loro parte. La carta dei valori della sinistra è diventata Novella 2000»"

giovedì 7 maggio 2009

La Ferrero ha la migliore reputazione al mondo (Economist) di Elysa Fazzino sole24ore

(nota del blogger:
Fare impresa in modo serio necessità di qualità che molti ritengono superate: LA SERIETA', LA COSTANZA, LA DISCIPLINA.

Non è vero che noi italiani non sappiamo fare impresa e questa notizia ce lo conferma.)





L’italiana Ferrero è l'azienda con la migliore reputazione al mondo. Il produttore di cioccolato partito dal Piemonte e conosciutissimo all’estero è in cima alla classifica annuale redatta dal Reputation Institute, un istituto internazionale di ricerca. Ne dà notizia l’Economist nella sua edizione online. La società di ricerca ha chiesto all’opinione pubblica di valutare le 600 maggiori aziende mondiali in base a criteri di fiducia, ammirazione, rispetto, sensazioni positive e stima complessiva.


«Nonostante lo sbaraglio economico, il rispetto per l’impresa è ancora abbastanza alto», scrive sul suo sito web il settimanale britannico. Ma alcuni settori hanno sofferto: le banche e altre istituzioni finanziarie, che negli anni scorsi incutevano una buona dose di rispetto, hanno perso posizioni «in modo allarmante», anche se fanno meglio delle aziende produttrici di tabacco.

Secondo il punteggio del “Global Pulse”, su una scala da 1 a 100, la Ferrero registra oltre 85 punti. Seconda in classifica la svedese Ikea, con 84 punti. In terza posizione la statunitense Johnson & Johnson, nota per i prodotti di largo consumo per la cura dei bebé (oltre 83). La giapponese Nintendo è al sesto posto. I francesi sono al settimo posto con Christian Dior (oltre 81 punti). Gli spagnoli arrivano al nono posto con i supermercati Mercadonna (81). Tra le prime quindici classificate, una sola linea aerea, la Singapore Airlines (al decimo). Il gruppo industriale e automobilistico indiano Tata è all’undicesimo posto.


7 maggio 2009

martedì 5 maggio 2009

L'Avvenire contro Berlusconi "Vogliamo un premier più sobrio"

Duro attacco del quotidiano dei vescovi: ""Il sospetto può essere
persino peggiore della verità più scomoda. Prima o poi arriva il momento del conto"

"Vogliamo un premier più sobrio"

"Di tanto ciarpame i cittadini farebbero volentieri a meno"


L'Avvenire contro Berlusconi "Vogliamo un premier più sobrio"

Silvio Berlusconi

ROMA - "La politica e lo spettacolo, in un abbraccio mortifero, hanno dato nell'occasione il peggio di se". E' durissimo l'editoriale di prima pagina di 'Avvenire' dedicato alla vicenda Lario-Berlusconi. Il quotidiano dei vescovi fa sentire la sua voce e non sono parole che faranno piacere al premier. "Ci ha inquietato lo spargersi, tra alzatine di spalle e sorrisetti irridenti o ammiccanti, di un'altra manciata di sospetti sulle gesta del presidente del Consiglio. Il sospetto per chi gestisce la cosa pubblica può essere persino peggiore della verità più scomoda. E comunque, prima o poi arriva il momento del conto", si legge nell'editoriale. Un esplicito richiamo ad un redde rationem che getta un'ombra sui rapporti, fino ad oggi più che cordiali, tra il Vaticano e il governo del Cavaliere.

Poi l'editoriale chiama direttamente in causa Berlusconi. Tracciando l'identikit di quelle che dovrebbero essere le caratteristiche di un capo di governo: "La stoffa umana di un leader, il suo stile e i valori di cui riempie concretamente la sua vita non sono indifferenti: non possono esserlo. Per questo noi continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio, il meno deforme, all'anima del Paese".

Ed ancora: "Ciò che farebbe ridere in una puntata del Bagaglino non può non preoccupare i cittadini che di tanto ciarpame alla fin fine farebbero volentieri a meno". Ciarpame, la stessa espressione usata da Veronica a proposito delle veline candidate.

Anche Casini attacca. Come Franceschini, anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini critica le parole del Cavaliere sul "complotto". "Credo stia esagerando", ha detto l'ex presidente della Camera, e francamente parlare di una congiura fa scappare da ridere"

giovedì 30 aprile 2009

L'ho lettto sul Bollettino Salesiano e l'ho trovato interessante


Una Scazzottata
Carissimo, non ti sei mai chiesto perché abbiamo le unghie, perché le dita si raggomitolano improvvisamente a pugno. Perché quando si litiga le parole agonizzano e invocano la morte... "ti ammazzo", "ti faccio secco"! Non rispondo a tono. Troppo semplice constatare come la litigiosità sia un virus che sta intaccando tutti: amicizie, parentele, interessi, il mondo dello spettacolo, dello sport. A raffica partono denunce, si aprono processi. Ti faccio una controdomanda: quando ti capita di litigare, di esplodere, di collassarti, fino a perdere la testa? Te lo dico io. Il litigio è un segnale. É più assimilabile a ùna malattia che a una ferita. i Una malattia preoccupa molto di più di un graffio di un manrovescio. Il violento, l'iracondo è febbricitante, è impaurito dentro di sé. É spaventato. L'ambizione lo sta distruggendo. Si sente vulnerabile e per questo colpisce. E depresso e la frustrazione lo segue come un'ombra. Diventa nevrotico. Tutto dà i nervi. Cosa c'è sotto la cenere? Come giustifichi una tempesta se non con un'affettività scomposta, a pezzi, un fallimento esistenziale? Non c'è via d'uscita, non vai da nessuna parte se a guidarti è l'istinto. Se sei infelice trasmetti inquietudine. Prova un giorno solo a vivere allo stato puro con la luce negli occhi, il sorriso sul volto, diventi contagioso, aggregante, simpatico. Non mendicare compassione e comprensione. Una volta tanto apri la mano per dare, aiutare. Non è un trucco essere solidali, è santa astuzia offrire gratuità, crea benessere alla psiche e dà ossigeno alla vita. Quando ti senti negativo, triste, ricorda questa regola dettata dal buon senso: attorno a te non ci sono nemici, c'è sempre qualcuno che ti vuol bene, devi solo aprire gli occhi e vederlo. L'ira ti acceca. Ogni tanto serve sfogarti. Cerca una spalla su cui appoggiare i tuoi umori. Vincere un giorno di rabbia può salvarti cento giorni di dolore (è un proverbio cinese). Sii paziente, non cedere alle provocazioni, conta fino al dieci e magari fino a cento. Dà filo al tuo aquilone, volerà molto più in alto. Carlo Terraneo MARZO 2009 BS

domenica 12 aprile 2009

La disputa


La disputa non è tra chi crede e chi non crede ma tra chi pensa e chi non pensa.
Corrado Augias

domenica 1 marzo 2009

La semplicità


... La semplicità non è semplice, perchè non si tratta tanto di incoscienza e di ignoranza, ma consapevolezza assoluta e di dominio delle cose; non si tratta di natura, quanto si tratta di conquista.
...
Elogio funebre di Mons. Giovanni Iacono pronunziato da S.E. Mons. Francesco Pennisi. Ragusa 27-5-1957

domenica 15 febbraio 2009

Insieme possiamo tutto


Trovo sul blog della decrescita felice e pubblico.

Insieme possiamo tutto.

di Germano Caputo


E’ l’invito, sostegno a continuare in ciò che facciamo avendo fiducia e a rifiutare la paura che ci viene versata addosso, in ogni contesto. Come suggerisce la Guida galattica per autostoppisti *: Don’t panic!!! Umore: ispirato :)

Questa crisi è la fine di un’era di travolgente e incontrollata crescita materiale a cui non ha corrisposto un eguale sviluppo sociale: abbiamo tecnologie da Star Trek ma siamo ingabbiati in una sorta di medioevo culturale.

Il progresso scientifico e cognitivo dell’umanità è infatti ormai arrivato a fornire una chiara comprensione di come le cose funzionano e la tecnologia che ne deriva permette di poter realizzare qualunque nostra idea. I risultati della ricerca sui meccanismi di funzionamento della psiche e della fisica confermano quanto tramandato da millenni dai ricercatori spirituali, portano alle stesse conclusioni: siamo fatti di energia, di vibrazioni che danno illusione di realtà, in cui la mente ed il pensiero hanno il potere di incidere.

Le cause reali dei problemi che affliggono l’umanità adesso non sono più di ordine materiale o dipendenti dal caso o dalla Natura, ma politiche, morali, umane.

La domanda da farsi non è più: - Come possiamo risolvere i grandi problemi dell’umanità? - Ma: - Perché ancora non lo stiamo facendo?

Una risposta è che non ci amiamo abbastanza, che non abbiamo ancora compreso di non essere individui isolati, ma vite che dipendono da altre vite, e soprattutto che la Terra non è un oggetto inanimato, come sanno bene i nativi d’America rinchiusi nelle riserve e tutte le popolazioni tribali che vogliamo ardentemente “educare alla democrazia”.

La Terra è un’entità vivente e noi siamo una delle sue infinite anime, una delle sue manifestazioni più evolute e per questo più potenti e instabili.

I principi che regolano adesso la società: gerarchia di potere, competizione, uso della forza; il considerarsi individui separati dal resto e trattare esseri viventi, natura e ambiente alla stregua di oggetti sono frutto di una visione dominatrice, autoritaria, androcentrica, che ci sta portando verso la distruzione della vita, alla morte del pianeta.

La ricerca della stabilità e della pace come specie garantirà l’evoluzione dell’umanità e del pianeta nell’Universo. E la pace della famiglia umana dipende dalla pace interiore di ognuno di noi. Ecco perché la priorità in questo momento storico diventa lo sviluppo delle potenzialità umane e la crescita interiore di ogni individuo, secondo principi di amore, libertà, rispetto, cooperazione, solidarietà; queste basi garantiranno la Vita.

- Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo - … ma non basta…


Il cambiamento deve essere condiviso e diffuso, portare all’unione.

Da soli possiamo poco, insieme possiamo tutto.


Germano Caputo

http://germanuscaput.blogspot.com/


* Douglas Adams, Guida galattica per autostoppisti, collana I blues, traduzione di Laura Serra, Arnoldo Mondadori Editore, 1996. pp. 214

domenica 8 febbraio 2009

Le idee nuove in Sicilia hanno la loro età. (?)


foto scaricata da:
http://www.flickr.com/photos/slumia/

Lo trovo sul Corriere della Sera e mi sento in dovere di pubblicarlo.


Fallisce il blitz per cancellare gli enti: le funzioni sarebbero passate ai Comuni Sicilia, muro di Lombardo e Pdl Province «salvate» dall'abolizione Costano 890 milioni, basterebbe un tratto di penna. Ma vota sì solo il Pd


«Articolo 15: Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell'ambito della Regione siciliana». «Oooh, finalmente un bel regalo di Natale!», direte voi. Macché: quelle parole erano nello Statuto di autonomia del 1946. Mai applicato. Anzi: l'abolizione (vera, stavolta) delle province siciliane è stata appena, e di nuovo, bocciata. Non si toccano. Che i consiglieri provinciali nell'isola si prendano sul serio è notorio. Qualche anno fa il presidente catanese Nello Musumeci, che militava allora in An e aveva stipulato una polizza con la Reale Mutua Assicurazioni per coprire se stesso e i colleghi di giunta da eventuali condanne della Corte dei Conti, arrivò a presentare una delibera stupefacente. Delibera che, sulla base di certi studi storici secondo i quali «tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, i rappresentanti della Provincia costituivano l'Onorevole consiglio», riconosceva ai membri dell'assemblea il titolo di «onorevoli». Al punto che, votata a stragrande maggioranza la decisione con soli sei voti contrari della sinistra, il presidente del consiglio, Santo Pulvirenti, chiuse la seduta salutando tutti come «onorevoli colleghi». Eppure, come dicevamo, le province siciliane più ancora delle altre non dovrebbero neppure esistere. Nello Statuto che il 15 maggio 1946 riconosceva l'autonomia della Regione, il già citato articolo 15 non lasciava dubbi: abolizione. E ribadiva, se mai qualcuno fosse duro d'orecchio, che «l'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali». Tutto chiaro? Macché: restarono provvisoriamente in vita come amministrazioni straordinarie per un anno, due anni, tre anni, quattro anni... E poi ancora cinque e sei e sette... E poi ancora otto e nove e dieci... Finché nel 1986, dopo quarant'anni di proroghe, l'assemblea regionale decise infine di smetterla con quella ipocrisia. E le province provvisorie furono ribattezzate: d'ora in avanti si sarebbero chiamate Province Regionali. Cosa fanno? Boh... Distribuiscono incarichi e prebende, dirà qualcuno. Ultimo esempio, quello denunciato da «Il Dito», un settimanale online di Catania vicino a Enzo Bianco, che ha scoperto come Raffaele Lombardo, allora potentissimo presidente della provincia etnea, abbia passato il Natale dell'anno scorso firmando decine e decine di «nomine o proroghe di dirigenti, collaboratori esterni, consulenze varie»: 57 in due giorni. Uno sforzo pesante per il polso, ma utile elettoralmente, visto che il fondatore dell'Mpa stava per candidarsi alla presidenza regionale al posto di Cuffaro. Una chicca tra le tante: l'assegnazione nel 2006 a uno studio legale di un incarico per «l'assistenza tecnico-legale al programma di cooperazione Bulgaria-Romania, uno studio finalizzato alla promozione delle imprese catanesi in quelle nazioni e all'avvio di uno stand informativo presso la Provincia». ù Quanto costino nella sola Sicilia questi enti, che già il sindaco di Milano Emilio Caldara considerava un secolo fa «buoni solo per i manicomi e per le strade» ma che incassano un mucchio di denaro grazie soprattutto alle addizionali sull'energia elettrica e la Rc auto, lo dice un rapporto Istat sui bilanci 2006: 890 milioni di euro. Dei quali 237 spesi per stipendiare tutto il personale. E addirittura 228 (nel solo 2006!) per comperare beni immobili. Tema: che senso ha che un ente da decenni additato come inutile e da sopprimere faccia shopping immobiliare comprando sempre nuovi palazzi, nuovi uffici, nuove sedi distaccate? Quanto agli amministratori, il Sole 24 ore ha fatto i conti: di sole indennità (cioè la voce-base, alla quale vanno sommati i rimborsi, le diarie e altre voci che nel caso dei parlamentari nazionali o regionali fanno schizzare all'insù le entrate reali nette) i 315 consiglieri provinciali costano otto milioni e 300 mila euro. Una esagerazione. Che qua e là, scrive Nino Amadore, si fa ancora più eclatante: 98.089 di spesa di indennità ogni centomila abitanti a Palermo, 389.705 a Enna. E meno male che alle 9 province già esistenti (una ogni mezzo milione di abitanti, con un massimo di un milione e 235 mila nel caso di Palermo e un minimo di 177mila di Enna) non sono state (ancora) aggiunte le altre tre di cui si parla da anni: Caltagirone, Gela e Monti Nebrodi. Altrimenti le spese sarebbero ancora più vistose. Fatto sta che qualche giorno fa il presidente della commissione antimafia in Regione, il democratico Lillo Speziale, ha pensato che forse era arrivato il momento per tentare uno strappo. Prima l'insofferenza dei cittadini per i costi esorbitanti della politica nata dalle denunce del Corriere della Sera, poi la campagna di Libero benedetta da un diluvio di firme di lettori e dal consenso di autorevoli esponenti di diverse appartenenze politiche... Come dubitare del successo di un blitz siciliano se l'unico partito che si è ufficialmente schierato contro l'abolizione delle province è la Lega che nell'isola ha uno spicchio di successo piuttosto eccentrico nella sola Lampedusa? Non bastasse, come ricorda il leader storico dei Difensori Civici Lino Buscemi (che minaccia di raccogliere le firme per un referendum abrogativo) l'abolizione delle province in Sicilia potrebbe essere fatta in un giorno. A differenza che a Roma infatti, a Palermo non servirebbe una modifica istituzionale: «Basterebbe un tratto di penna». E questo diceva infatti la proposta portata giorni fa in commissione Affari Istituzionali da Lillo Speziale. Articolo 1: «Le province regionali sono soppresse». Articolo 2: le loro funzioni sono «trasferite ai liberi consorzi di comuni istituiti a norma dell'art. 15, comma 2, dello Statuto della Regione. Nelle more di tale istituzione, esse sono trasferite ai comuni, ricompresi nella soppressa provincia, che le eserciteranno in forma singola o associata». Articolo 3: i dipendenti passano «nei ruoli dell'amministrazione dei comuni, in una qualifica corrispondente a quella di provenienza». Articolo 4: «I beni, mobili ed immobili, di proprietà delle province sono trasferiti nella proprietà dei comuni». E così via. Su tredici membri della commissione, i presenti erano otto. I quattro democratici hanno votato per l'abolizione e chi rappresentava l'Udc di Pier Ferdinando Casini (favorevole alla soppressione) non era presente. Gli altri, a partire dal presidente, il lombardiano Riccardo Minardo (il cui voto valeva doppio ed è stato determinante) hanno votato contro. Compresi i rappresentanti del Pdl. A dispetto delle promesse di Silvio Berlusconi e di quelle di Gianfranco Fini. Parole, parole, parole... Gian Antonio Stella 24 dicembre 2008"

sabato 7 febbraio 2009

giovedì 8 gennaio 2009

La nostra Italia somiglia troppo a questa America. Somiglieremo all'America tra qualche anno?


Obama say: (sembra un vero Democristiano)

Da Repubblica online del 9.1.09

Obama lancia il suo piano anticrisi
"Finisce era di irresponsabilità"

....

"Era di irresponsabilità di manager, politici e bancari". "Per anni troppi manager di Wall Street hanno assunto decisioni imprudenti e pericolose, cercando profitti senza preoccuparsi del rischio. Le banche hanno effettuato prestiti senza preoccuparsi se questi potessero essere poi ripagati. I politici hanno speso soldi dei contribuenti senza disciplina. Il risultato è stata una devastante perdita di fiducia nella nostra economia, nei mercati finanziari e nel nostro governo" ha detto Obama. "Siamo arrivati a questo punto - ha aggiunto - a causa di un'era di profonda irresponsabilità che ha spaziato dai saloni dei consigli di amministrazione alle sale di potere di Washington".

"Agire in fretta". "Se non agiamo in fretta e con decisione, la nostra economia rischia di perdere mille miliardi di dollari l'anno in minor produzione rispetto al suo potenziale. Per questo chiedo al Congresso di agire con la massima rapidità possibile" ha detto il presidente eletto. "Solo il governo può rompere il circolo vizioso" creatosi nell'economia e dare "una spinta a breve termine".

Fonti alternative e infrastrutture. Il pacchetto per il rilancio dell'economia riguarda anche la produzione da fonti alternative. "Per incentivare la nascita dell'economia dell'energia pulita - ha detto Obama - raddoppieremo la produzione da fonti alternative in tre anni". Ribadito l'impegno a favore della scuola e del miglioramento delle infrastrutture: "Lavoreremo per modernizzare gli edifici federali, costruiremo strade, ponti e scuole, fornendo le dotazioni tecnologiche necessarie nel ventunesimo secolo. Investiremo nelle nuove tecnologie e nelle energie rinnovabili", ha detto il presidente eletto. "Dobbiamo fare scelte difficili" per porre "le fondamenta di un nuovo sistema economico", ha detto Obama. "Modernizzeremo più del 75% degli edifici pubblici - ha spiegato - e miglioreremo l'efficienza energetica di due milioni di case americane, consentendo ai consumatori e ai contribuenti di risparmiare".

venerdì 2 gennaio 2009

Archivio blog