lunedì 29 dicembre 2008

Idee economiche in controtendenza.

Serge Latouche e Maurizio Pallante: "Decrescere per essere felici"

Rifondare il sistema economico e abbandonare l’imperativo della crescita. Serge Latouche e Maurizio Pallante, i due massimi esponenti, rispettivamente in Francia e in Italia, del movimento della decrescita felice, propongono una rivoluzione copernicana applicata all’economia. di Marco Dari Mattiacci

Rifondare il sistema economico e abbandonare l’imperativo della crescita. Serge Latouche e Maurizio Pallante, i due massimi esponenti, rispettivamente in Francia e in Italia, del movimento della decrescita felice propongono una rivoluzione copernicana applicata all’economia. Fautori di un’idea fortemente controcorrente, che vede nella riduzione del Pil l’unica strada per recuperare un sano rapporto con l’ambiente, colmare le disuguaglianze sociali del pianeta e migliorare il nostro stile di vita, i due autori hanno mandato recentemente in stampa all’unisono due libri molto diversi, che ribadiscono con decisione la sfida della decrescita. Latouche offre un saggio ricco di approfondimenti storico-economici e di ragionamenti di ampio respiro, anche se dagli esiti politici non troppo definiti (La scommessa della decrescita, Feltrinelli, pp. 182, € 6,00); Pallante esce invece con un breve capolavoro di chiarezza e semplicità, un libretto con cd audio allegato in cui egli stesso legge l’opera per intero Discorso sulla decrescita, Luca Sossella Editore, pp. 39, libro+cd € 12,00). Il sistema economico in cui viviamo è fondato sulla crescita, la crescita è l’obiettivo primario della nostra politica economica, e con la crescita l’incremento dei consumi, la piena occupazione, l’aumento della domanda, delle transazioni, degli spostamenti. La crescita non è né di destra né di sinistra, è un obiettivo comune a tutti gli schieramenti politici, storicamente proprio anche del socialismo reale. Ci si divide sul modo di perseguirla, ma che occorra crescere è una convinzione di fondo che non si mette in discussione. È un assunto dei nostri ragionamenti. È un dato acquisito e certo.

Nel sistema capitalistico, poi, la crescita è alla base della logica imprenditoriale; è la risposta alle necessità di equa remunerazione del capitale. Latouche e Pallante si scagliano contro questo schema e, andando oltre la nozione di sviluppo sostenibile, da loro giudicato un ipocrita ossimoro che non risolve le cose, propongono un’inversione ad U per il nostro sistema economico: non più la crescita del Prodotto interno lordo, ma l’aumento del benessere, non più le merci ma i beni, non più il consumo ma l’uso.

Nella loro ottica occorre ridurre le transazioni in denaro, sostituendole, ove non siano indispensabili, con scambi fondati sulla reciprocità e con l’autoproduzione; bisogna diminuire il traffico inutile di merci che possono essere prodotte anche in loco a costi leggermente superiori; avviare un processo di de-urbanizzazione; diminuire gli orari di lavoro, contro la disoccupazione e per un innalzamento della qualità della vita; recuperare, con il tempo libero, anche il saper fare, superando la parcellizzazione del sapere che ci porta a comprare ogni cosa; innalzare a valore fondante la sobrietà che, come scrive Pallante, “non è solo uno stile di vita, ma anche una guida per orientare la ricerca scientifica e le 
innovazioni tecnologiche a ottenere di più con meno. È la capacità di saper distinguere il più dal meglio, la quantità dalla qualità. La costruzione di edifici in grado di assicurare il benessere col minimo consumo di risorse, la progettazione di oggetti fatti per durare nel tempo, la riparazione invece della sostituzione, il riciclaggio e la riutilizzazione delle materie prime di cui sono fatti”.

Dagli anni ’70 ad oggi, mentre il Pil è cresciuto costantemente, gli indicatori di benessere hanno fatto registrare un progressivo calo. Addirittura l’indice che misura l’impronta ecologica, cioè la quantità di superficie terrestre necessaria ad ogni individuo per ricavare le risorse di cui ha bisogno, mostra che il limite della sostenibilità è stato superato già dal 1960. In proposito Latouche propone una via d’uscita: l’internalizzazione delle diseconomie esterne. 
Sviluppando un principio che Pigou formulò all’inizio del ’900, l’autore immagina un mondo in cui nel prezzo del carburante (per esempio) siano inclusi anche i costi invisibili, le disfunzioni ecologiche e sociali: gli incidenti automobilistici, quindi, l’inquinamento dell’aria, le basi militari necessarie per controllare gli approvvigionamenti di petrolio, le sovvenzioni alle compagnie petrolifere, ecc. Se tutti questi costi fossero internalizzati il prezzo del carburante salirebbe ad un livello tale che la produzione di energia alternativa diventerebbe conveniente, si ridurrebbe l’inquinamento e i nostri stili di vita cambierebbero nella direzione di una decrescita felice. Per Latouche il cambiamento di prospettiva può essere realizzato soltanto attraverso “il programma radicale, sistematico, ambizioso delle 8 R: rivalutare, ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare”.

Il Prodotto interno lordo, misuratore per eccellenza della crescita, comprende tutte le transazioni mercantili, sia quelle che danno luogo a risultati positivi, sia quelle che generano diminuzioni del benessere.

È così che se si crea un ingorgo, si consuma più carburante e ciò aumenta la crescita nazionale; analogamente se c’è un incidente. Al contrario, se aumenta il numero di famiglie che hanno un orto (per produrre beni), allora diminuiscono gli acquisti di frutta e verdura (merci) e con essi il Pil. In proposito, precisa Pallante, obiettivo della decrescita è realizzare “una diminuzione della produzione di merci che non sono beni e un incremento di beni che non sono merci”.

Maurizio Pallante: dal Pil al Bil

“Il senso ultimo dello sviluppo scientifico e tecnologico finalizzato alla crescita del prodotto interno lordo è l’applicazione della razionalità ad un obiettivo irrazionale e ha come risultato finale la devastazione del mondo”. Maurizio Pallante, consulente del ministero dell’Ambiente per l’efficienza energetica, è autore de La decrescita felice. Pallante è anche membro del comitato scientifico di “M’illumino di meno”. Nel sito www.decrescitafelice.it, Maurizio Pallante espone le linee guida del “movimento per la decrescita felice” e presenta una “Proposta di un programma politico per la decrescita”. 
Nel portale sono indicate le azioni e i gesti quotidiani che ogni singolo cittadino, imprenditore, educatore o politico può compiere nel suo ambito per trasformare il Pil, prodotto interno lordo, in Bil, Benessere interno lordo. Una sezione del portale è dedicata all’associazione che riunisce i Comuni virtuosi, il cui fine è quello di diffondere su tutto il territorio nazionale buone prassi amministrative orientate alla sostenibilità ambientale, alla partecipazione dei cittadini e alla cooperazione dal basso. 
Il portale ospita una sezione per gli approfondimenti e i dibattiti su temi legati alla decrescita: i cambiamenti climatici, fonti energetiche alternative, agricoltura sostenibile, bioedilizia.

Serge Latouche: resistenza e dissidenza

“La fede nel progresso e nell’economia non è più una scelta della coscienza, ma una droga alla quale siamo tutti assuefatti”. Lo afferma Serge Latouche, autore del recente La scommessa della decrescita, nel quale il filosofo rilancia 
il concetto di decrescita come parola d’ordine per “interrompere la cantilena dei drogati del produttivismo”. 
Professore di Scienze economiche all’Università di Paris-Sud, Francia, esponente di riferimento del movimento Itermondialista, Serge Latouche ha pubblicato il suo Manifesto anche nel sito italiano Decrescita. Rete per la decrescita serena, pacifica e solidale (www.decrescita.it). Così recita il Manifesto: “Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L’economia deve essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l’umanità dalla miseria psichica e morale (...) Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d’essere che l’espansione della produzione e del consumo. La parola d’ordine della rete è dunque ‘resistenza e dissidenza’”.

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